Ma per quale motivo si dovrebbe investire nel Belpaese?

L'Italia di oggi ha un carico fiscale tra i più alti delle economie occidentali: Confindustria stima che il carico tributario nel 2012 supererà la soglia del 45% del PIL, probabilmente il livello di tassazione più elevato mai raggiunto dal nostro paese. Probabilmente le difficoltà dello spread sui BTP negli ultimi mesi non sono solo espressione del deficit di bilancio, ricordiamo che l'Italia avrà un avanzo primario già a fine 2012, ma oggi credo riguardi maggiormente le difficoltà sulla crescita, ciò accompagnato da maggiori tasse che deprimono il mercato e non viceversa.

Per quale motivo un investitore dovrebbe quindi investire nel Belpaese pagando un tasso su un prestito del 7% e lasciando nelle nostre finanze il 45% dei lauti guadagni? Uno psicologo definirebbe ciò come una patologia simile a quella della sindrome da gioco d'azzardo. Poi ci stupiamo del perché le "Signorine del Rating" continuino ad emettere outlook negativi sul nostro conto: probabilmente loro si fidano di noi molto meno di quanto non facciamo noi loro hanno poca fiducia in noi, mentre noi ne abbiamo molta in noi stessi ed amiamo pagare molte tasse (campa cavallo che l'erba cresce).

Il livello attuale di tassazioni è economicamente insostenibile e sembra anche che qualcuno al FMI inizi ad avere perplessità sulla politica fiscale adottata in UE negli ultimi tempi. Quello che l'EU ha deciso è di inasprire la politica fiscale, chiedendo bilanci blindati in modo perpetuo (a tempo indeterminato), per un paese come l'Italia è quasi una condanna a morte senza crescita. A scanso di equivoci, il rigore di bilancio italiano è sacrosanto, ma gli interventi dovrebbero essere fatti maggiormente dal lato spesa e meno sulle tasse: oggi è molto alto il rischio che i capitali italiani fuggano all'estero e non solo quelli derivanti dall'economia sommersa.

Pertanto un passo che dovrebbe essere fatto nel breve periodo è quello di ridurre le tasse sui redditi abbattendo le aliquote medio-basse (per es. abbattendo l'irpef di un punto per ogni figlio), spostando la tassazione sui consumi ed eliminando le detrazioni.

La direzione deve essere sulle politiche di crescita e liberalizzazioni a 360 gradi, iniziando dalle farmacie, passando per gli avvocati e arrivando alle Municipalizzate. Chiaro se ci fermiamo ai taxi ed alle farmacie la teoria "datemi una leva e solleverò il mondo" non varrà; le liberalizzazioni devono coprire gran parte del tessuto economico italiano. Abbattere le barriere all'entrata per gran parte degli ordini (per es. per l'ordine degli Ingegneri, possono iscriversi sostenendo un esame che può essere dato anche pochi giorni dopo la laurea) ed eliminare la parcella minima. Avremo molti più avvocati, commercialisti, giornalisti ecc in più, ergo più occupazione, ergo più base imponibile, e nel medio-lungo periodo più produttività (qualità).

Bisogna agire da un lato sul Moltiplicatore, in modo particolare consumi e investimenti, dall'altro sulla Fiducia, perché questa è anche una crisi di fiducia. La Moneta è la fiducia, oggetto inquisito da più parti, indignati e non, rappresenta la trasformazione della fiducia in banconota. Dall'abbandono del valore intrinseco, la moneta è lo specchio della fiducia: nella storia la moneta ha rappresentato il volano della crescita e dello sviluppo. Abbiamo bisogno di economisti e/o comunque di gente che studi economia e di banche solide.

Purtroppo oltre al debito statale alto, l'Italia ha altri problemi: il primo si chiama Bilancia Commerciale ed il secondo Costo del lavoro. Se il Belpaese continuerà ad avere un disavanzo di 40Mld di euro all'anno, in teoria l'euro italiano dovrebbe svalutarsi in continuazione, ma ciò non è possibile; l'altra soluzione è la deflazione (ciò che probabilmente sta già avvenendo al netto dell'inflazione importata). Ad incalzare la dose c'è il costo del lavoro, il quale è molto più alto della media UE: oggi si è attestato a 116,2 (indice base 2005=100: dati Istat), mentre in Germania dal 2000 ad oggi è praticamente rimasto invariato. Per contro la produttività negli ultimi 11 anni in Italia è rimasta al palo (nel periodo 2001-2007 è aumentata dello 0,14%). Un altro dato molto allarmante deriva dalla tassazione media su ore lavorate, a fine 2010 era pari al 47% del Pil (dati OCSE) e la tendenza è in aumento.

Sono dati che lasciano poco scampo alla salvezza se non verranno prese decisioni drastiche sul lato delle riforme, dal mercato del lavoro alle liberalizzazioni, fino alla riforma del sistema giudiziario. La crescita oggi è la priorità e niente più tasse, il sistema sta implodendo; bisogna intervenire sulla spesa corrente, la quale non accenna a diminuire.

Andrew Tancredi - analista indipendente - 4VALUE