Guardare oltre la crisi

Quanto la Politica può influire sull'Economia? Il primato delle scelte politiche su quelle economiche è un luogo comune o può essere verificato dall'analisi empirica? Viviamo in un periodo di estrema attenzione collettiva alla materia del debito pubblico di ciascun Paese, a causa della prolungata recessione e della smisurata crescita del debito stesso.

Ovviamente in questi frangenti la fiducia dei mercati nella capacità di ripagare nel tempo il debito pubblico resta il tema più importante. Nei periodi storici in cui il debito pubblico non tracima fuori dei suoi argini naturali si è notato che l'andamento dell'Economia risente meno direttamente delle scelte politiche.

Dunque se il mondo intero si aspetta un possibile default di Stato (come sta accadendo alla Grecia) allora i tassi di interesse vanno alle stelle, i capitali fuggono dal Paese, le banche non prestano più denaro e, ovviamente, l'Economia va in recessione, cioè la ricchezza disponibile decresce.

Se viceversa la Politica fa per tempo le sue difficili scelte, il Paese può salvarsi e le manovre economiche intraprese sono più efficaci. È stato molto di recente il caso per l'Italia con la manovra di "austerity" fatta dal Governo Monti, i cui effetti sono indubbiamente recessivi per l'Economia del Paese ma che ha generato ampi effetti positivi in termini finanziari sulla tenuta del debito pubblico.
Effetti altrettanto indubbiamente amplificati dal gioco delle aspettative.

Senza quelle scelte politiche l'Italia poteva scivolare nella situazione della Grecia, ma il primato della Politica sull'Economia in situazioni estreme come quelle attuali rischia di essere sconfessato anche per tutti gli altri Paesi occidentali, ad esempio gli Stati Uniti d'America, dove il debito pubblico non è banale e dove a breve sarà eletto di nuovo il Presidente. La credibilità del medesimo potrebbe fare la differenza per i mercati finanziari?

La risposta alla domanda generale dunque potrebbe essere semplice: in situazioni estreme come quella in cui si trova il mondo occidentale oggi, l'affidabilità degli Stati sovrani nella loro capacità di rimborsare le obbligazioni che hanno emesso sembra essere divenuto di gran lunga il fattore più importante per orientare i mercati.

Purtroppo però per quanto possa sembrare scontato, il tema non sembra essere stato sino ad oggi ben chiaro alla maggior parte dei Governi occidentali, e ben pochi di essi hanno adottato atteggiamenti idonei a questa gigantesca priorità. Questo ha generato rialzi dei saggi d'interesse e volatilità su cambi e prezzi delle materie prime, oltre che livelli mai visti nel prezzo dell'oro.

A livello mondiale una valida risposta politica idonea a rassicurare i mercati sulla tenuta dei vari debiti pubblici che fosse paragonabile a quella che il Governo Monti (che infatti è composto di tecnici, non di politici) ha intrapreso, non c'è stata.
E la mancata consapevolezza politica di questa banalità ha creato negli ultimi mesi dei grossi danni.

Dal momento in cui i mercati finanziari entrano nel circolo vizioso di:

-cattive prospettive per il ripagamento dei debiti pubblici
-rialzo del tasso di interesse reale pagato dalle imprese
-effetti dannosi del tasso sui consumi e sui bilanci delle imprese stesse
-cattive prospettive per l'economia
-minori entrate fiscali per gli stati debitori
-e così da capo...(fino a provocare recessione e depressione)

allora diviene evidente che l'Economia rallenta poichè risente fortemente delle aspettative del mercato finanziario.

Si potrebbe rispondere: ma se è così semplice, perchè i governi occidentali non ci pensano per tempo? Oppure: ma allora Monti ha fatto la cosa giusta più di tanti altri leaders del mondo? O ancora: ma questo è un ragionamento di destra (le aspettative del mercato finanziario sono più importanti delle grandi variabili macroeconomiche).
Oppure infine: manovre di pesante ampliamento dell'imposizione fiscale (dunque normalmente applicate da governi di sinistra) possono giovare ai mercati finanziari più che non le manovre di stimolo alla crescita economica, dal momento che queste ultime possono aggravare il debito pubblico.

La verità è divenuta ambigua. Ognuna delle affermazioni sopra riportate potrebbe essere corretta nel pazzo mondo in cui stiamo vivendo ma quello che si fa fatica ad accettare a livello globale è che a un problema così complesso come quello della lotta allo spettro di una nuova Depressione che contagia i principali Paesi Occidentali si contrapponga la necessità di una soluzione non-politica e così semplice: fare chiarezza circa l'affidabilità dei debiti pubblici.

A questo punto sarebbe importante distinguere tra le teorie economiche quali siano quelle di "destra" e quelle di "sinistra" per chiarire in quale direzione potrebbero portare le diverse scelte della politica, ma voglio anticiparVi la mia conclusione: purtroppo quando il panico dei mercati finanziari prende il sopravvento, tra le une e le altre non cambia poi molto, anzi i ruoli di destra e sinistra rischiano di rovesciarsi e accade che sono i politici di sinistra ad essere i più allarmati per le possibili conseguenze di una bancarotta di Stato, mentre i cosiddetti conservatori e liberisti continuano ad auspicare importanti tagli fiscali per rilanciare consumi e investimenti (qualcuno ricorda la "curva di Laffer"?).

In definitiva mentre aumenta la confusione tra i propugnatori di teorie macroeconomiche radicalmente diverse nel cercare di comprendere quali di esse possano partorire le manovre più efficaci, in realtà il mondo occidentale sembra essere divenuto ostaggio dei banchieri centrali, a causa della sfiducia generalizzata dei mercati circa la sorte dei principali debiti pubblici e la crescente aspettativa di una loro "monetizzazione" (con la conseguente attesa generalizzata di svalutazione dell'Euro). Probabilmente questa emergenza potrà aiutare gli economisti a concepire teorie radicalmente nuove.

Come si è giunti ad accumulare nei principali Paesi del mondo così tanto debito pubblico? C'entrano qualcosa la lotta il controllo delle risorse energetiche e delle materie prime? L'avanzata economica inarrestabile delle economie asiatiche e dei Paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica)? Le recenti guerre di Afghanistan Iraq e Libia e l'immensa spesa pubblica da esse generata è riconducibile alla battaglia per il controllo delle risorse naturali? È da collegarsi al gigantesco surplus monetario accumulato negli ultimi anni dalla Cina e dall'intero "Pacific Rim"?

Come si è prodotta la gigantesca disoccupazione generalizzata del mondo occidentale? I nostri governi hanno esagerato con la previdenza sociale e con il welfare spendendo risorse che non avevano? Riusciremo ad avere un'accettabile disponibilità di gas, petrolio e altre basilari materie prime nei prossimi anni? Quanto ci costerà rimediare ai danni ambientali che tutti noi stiamo provocando con le nostre abitudini "moderne"?

Le domande di fondo sopra riportate ci rimandano a fare una considerazione di natura epocale: è proprio finita la contesa tra politiche di destra e di sinistra! È piuttosto giunto il tempo di fare scelte di "geopolitica", se ancora ce lo possiamo permettere.

Così come è sempre meno attuale la contrapposizione tra le classi sociali quando i pericoli di fondo divengono generalizzati. Il nostro mondo occidentale e i leaders che noi esprimeremo attraverso la politica devono urgentemente tornare a elaborare risposte programmatiche a proposito dei grandi temi generali sopra accennati!

Prima fra tutti la capacità di contenere e rimborsare il debito pubblico.

Per un imprenditore di qualsiasi Paese libero non conta poi così tanto sapere quante tasse egli pagherà sul reddito se l'alternativa è non generare reddito. Per un lavoratore è lo stesso: non è poi così importante avere o non avere un importante pacchetto di previdenza sociale se il costo del medesimo può risultare nel non trovare un lavoro o ottenere un reddito troppo basso.

Qualsiasi scelta politica può in definitiva risultare accettabile se l'economia tira e i fattori di produzione (tra i quali la disponibilità di credito) sono disponibili e viceversa qualsiasi scelta politica potrà risultare inaccettabile se lo spettro di una nuova Grande Depressione si dovesse materializzare! Qualsiasi sacrificio fiscale o del welfare potrebbe risultare accettabile se si facesse chiarezza circa l'alternativa cui andiamo incontro: una bancarotta di Stato!
Proviamo a ricordarci di ciò che ci raccontavano in nostri nonni di come si viveva nell'economia di guerra?

Dunque la situazione di fondo è divenuta così estrema e le minacce esterne sono ormai così concrete che devono sospingere noi cittadini a tornare a far prevalere il buonsenso e la "solidarietà nazionale" se vogliamo sperare di non precipitare in mondo assai peggiore di quello cui ci siamo più o meno tutti abituati!

Mentre facciamo queste considerazioni dobbiamo tenere presente il fatto che il nostro debito pubblico sta ancora crescendo, che la spesa pubblica non accenna a diminuire e che questi due fatti prosciugano in maniera tangibile la capacità di credito l'uno e il reddito disponibile l'altra!

Ci apprestiamo ad entrare in una nuova, prolungata stagione di campagna elettorale, in un nuovo prolungato ciclo di confronti tra le parti sociali, ci apprestiamo già oggi a pagare care e per lungo tempo le conseguenze delle scellerate politiche di welfare praticate negli ultimi decenni.

Ci apprestiamo a dover contare sempre più sulle partnership internazionali delle nostre imprese se vogliamo tenere in piedi i nostri posti lavoro e ci auguriamo di poter reperire sempre più all'estero i capitali di cui abbisognamo, tenendo conto che ciò porterà una conseguente parallela riduzione della nostra autonomia decisionale.

Mi auguro proprio che perciò la nostra Italia riesca a "limitare i danni" e a riprendere a ragionare seriamente sul proprio immediato futuro, riprendendo a privilegiare l'istruzione, le infrastrutture, l'occupazione, la competitività, la ricerca, la solidità del Paese e delle sue istituzioni!

Stefano di Tommaso
La Compagnia Finanziaria