Scenari economici di fine anno

Il Re è morto, viva il Re! Erano le parole di rito con le quali l'araldo della monarchia francese annunciava per tre volte al popolo la morte del sovrano, con il contemporaneo avvento al trono del successore, a significare che lo Stato andava comunque avanti.

Ci auguriamo che non si debba dire la stessa cosa della società civile occidentale nella quale viviamo, tanto perché a noi piaceva così com'è (e nella storia non ci sono precedenti altrettanto illustri in termini di democrazia e benessere) quanto perché la sua caduta provocherebbe nell'immediato grandi devastazioni e sofferenze, che sarebbe per tutti assai meglio evitare.
Ma la frase è venuta in mente riflettendo sul rito che si è consumato nella giornata di ieri, con oltre quattro milioni di italiani che, recandosi a votare per le Primarie dell'attuale primo partito italiano, hanno celebrato il funerale della seconda Repubblica, esprimendo chiaramente la volontà di passare ad istituzioni basate sulla democrazia diretta, votate liberamente dal popolo. Un segnale forte che nessuno potrà ignorare, magari utile a innestare una nuova marcia per :
CONTRASTARE LA CRISI
Abbiamo infatti lavorato tanto ad un aggiornamento del quadro congiunturale quanto a una lista di suggerimenti per "convivere con la crisi", che speriamo possa aiutare a far riflettere tutti coloro che mostrano ancora resistenza ai cambiamenti profondi in atto nel mondo: non è cercando di resistervi che si vive meglio, bensì facendo "surf" sulle loro grandi ondate, accettandone l'inequivocabilità e cercando di beneficiarne.
Nella seconda parte di questa newsletter abbiamo infatti ipotizzato dodici suggerimenti in proposito per mettere a fuoco cosa fare (soprattutto a livello aziendale).
Una serie di indicazioni pratiche ci auguriamo che possano costituire spunti operativi per imprenditori, industriali e investitori
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Lo scenario "macro"
Non è per nulla piacevole scrivere una volta al mese che le cose vanno sempre peggio, che lo scenario economico non promette nulla di buono e che questo stato di cose può trascinare il nostro Paese verso una stagione di ben più serrati confronti tra le parti sociali!
Eppure farsi prendere dalla collera o dallo sconforto ovvero mettere la testa sotto la sabbia non aiuterebbe, anzi: c'è proprio da chiedersi con più vigore e con maggiore attenzione quali azioni possiamo programmare di conseguenza, data la "nettezza" dell'orizzonte economico davanti a noi.
Non soltanto infatti lo scenario economico italiano è inequivocabilmente recessivo, ma altre grandi falcidie stanno per abbattersi sul fantasma della futura ripresa economica: ulteriore disoccupazione, ulteriore tassazione, minor credito con l'introduzione di Basilea III e le conseguenze di tutto ciò in termini di mancati investimenti e di fuga dei capitali.
Perché lo scenario è cupo?
È colpa dello "spread"? Direi di no, o almeno lo è solo in parte: un debito pubblico divenuto insostenibile anche a causa della decrescita del Paese che lo ha contratto non è certo un fiore all'occhiello di questo governo e dell'Unione Europea che non si mette d'accordo per stimolare la ripresa, ma non sono in vista nè collassi immediati degli Stati più a rischio nè brusche rotture dell'Unione Monetaria. L'ombrello di protezione aperto dalle principali banche centrali sta facendo -sino ad oggi- la sua parte, sebbene ci siamo sempre detti che Draghi da solo non possa fare molto.
La prospettiva per lo Stato Italiano di un continuo inseguimento del minor gettito fiscale con maggiori tasse al fine di non incrementare il debito pubblico risulta assolutamente deleteria, perché essa non può che alimentare un circolo vizioso di timori di non poter più rifinanziare il debito stesso man mano che esso scade.
Ciò allontana i capitali dal nostro Paese e con essi la quasi unica possibilità di trovare riscatto dall'attuale recessione: quella di effettuare i numerosi investimenti infrastrutturali rimasti indietro e permetterci così di rilanciare l'occupazione e incrementare l'efficienza e la produttività.Quest'ultima infatti è la maggiore indicatrice del divario che negli ultimi anni l'Italia ha accumulato con il resto dell'Europa. Vediamo come.
La Produttività :
lo spread di produttività con gli altri paesi sembra richiedere alle relazioni industriali del nostro Paese uno sforzo supremo: negli ultimi 10 anni la produttività in Italia è cresciuta solo dell'1,6%, in Europa invece del 13,9%. Viceversa lo scontro sociale sembra solo destinato a incrementarsi, date alcune posizioni intransigenti ancora dominanti. Lo scontro non favorirà un incremento della produttività.
Altri Fattori: una nuova Recessione
Negli USA il dr.El-Erian (il responsabile degli investimenti di PIMCO, società che ha raccolto $1900 miliardi in gestioni patrimoniali): per i prossimi quattro anni possiamo attenderci una bassa crescita, un elevato livello di disoccupazione e anni di ulteriori deficit del bilancio pubblico, man mano che si renderanno visibili e si dispiegheranno nella loro interezza tutti i problemi economici accumulati in anni di eccessi e squilibri.
È possibile che ciò che molti economisti stanno dicendo si autoaffermi come verità "a prescindere" : se tutti si aspettano una recessione e si comportano di conseguenza, molto probabilmente la recessione sarà inevitabile. Mai sottovalutare le conseguenze delle aspettative che si autorealizzano!
Tuttavia il discorso parte da più lontano: per il mondo moderno non era comunque più sostenibile un tenore di consumi e di inquinamento come quello che abbiamo sperimentato nell'ultimo mezzo secolo. Inoltre elevati livelli di "illusione monetaria" erano derivati da un mercato finanziario roboante che a sua volta alimentava la bolla del mercato immobiliare, quella delle nuove tecnologie, o infine quella delle energie da fonte rinnovabile. Queste bolle sono scoppiate una ad una in relativamente poco tempo facendo precipitare la ricchezza finanziaria, il numero di posti di lavoro, il reddito disponibile e il welfare che gli Stati assicuravano con l'incremento dei loro debiti.
Dunque si poteva stare un po' meglio di così, ma i problemi che si sono accumulati in anni di edonismo e ottimismo esagerato prima o poi sarebbero emersi!
Il Bollettino della "Decrescita":
L'Istat ha comunicato che a settembre gli ordinativi totali dell'industria hanno mostrato una contrazione congiunturale del 4,0%, sintesi di un calo dell'1,4% degli ordinativi interni e del 7,4% di quelli esteri. Nella media degli ultimi tre mesi gli ordinativi totali sono però aumentati dello 0,7% rispetto al trimestre precedente. Nel confronto con il mese di settembre 2011, l'indice grezzo degli ordinativi ha segnato una variazione negativa del 12,8%. In nessun settore l'indice grezzo degli ordinativi ha mostrato miglioramenti. La diminuzione più consistente si è registrata nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-18,4%).
Il fatturato dell'industria, al netto della stagionalità, ha fatto registrare una riduzione del 4,2% rispetto ad agosto, con una diminuzione del 3,7% sul mercato interno e del 5,3% su quello estero. Nella media degli ultimi tre mesi, l'indice complessivo mostra quindi una flessione dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti.
Da:ISTAT "LE PROSPETTIVE PER L'ECONOMIA ITALIANA NEL 2012-2013"
Per l'anno 2012 si prevede una riduzione del prodotto interno lordo (Pil) italiano pari al 2,3%, mentre per il 2013, nonostante l'attenuazione degli impulsi sfavorevoli ed un moderato recupero dell'attività economica nel secondo semestre, la variazione media annua resterebbe leggermente negativa (-0,5%).
La domanda estera netta risulterebbe, in entrambi gli anni, la principale fonte di sostegno alla crescita, con un contributo rispettivamente pari a 2,8 e a 0,5 punti percentuali nei due anni considerati, mentre il contributo della domanda interna al netto delle scorte è previsto rimanere negativo sia nel 2012 (-3,6 punti percentuali) sia nel 2013 (-0,9 punti percentuali) (Prospetto 1).
La spesa privata per consumi registrerebbe nell'anno in corso una contrazione del 3,2%. Nel 2013, la spesa dei consumatori risulterebbe ancora in calo (-0,7%), a seguito delle persistenti difficoltà sul mercato del lavoro e della debolezza dei redditi nominali.
Gli investimenti fissi lordi diminuirebbero del 7,2% nel 2012, per effetto di una forte riduzione da parte delle imprese e delle amministrazioni pubbliche. Nel 2013, le prospettive di una ripresa del ciclo produttivo e il graduale miglioramento delle condizioni di accesso al credito porterebbero ad un rallentamento della caduta (-0,9%).
La maggiore partecipazione al mercato del lavoro osservata a partire dalla fine del 2011 è alla base del rilevante incremento del tasso di disoccupazione previsto per quest'anno (10,6%). Nel 2013 il tasso di disoccupazione continuerebbe a salire (11,4%) a causa del contrarsi dell'occupazione, fenomeno cui si dovrebbe accompagnare un aumento dell'incidenza della disoccupazione di lunga durata.
Il rallentamento del commercio mondiale e il possibile riacutizzarsi delle tensioni sui mercati finanziari costituiscono i principali fattori di rischio al ribasso per queste previsioni.
Disoccupazione giovanile:
Negli USA 17.1%. Grecia al 58%, Spagna al 55%. In Portogallo il 36% e in Italia è del 35%. In Francia supera il 25%.
Deflazione e "Deleverage":
La revisione delle politiche economiche volta al contenimento o alla vera e propria riduzione dell'indebitamento pubblico, in atto oggi più o meno in tutto il mondo occidentale, sebbene sia percepita da chiunque come un passaggio necessario, comporta sempre il rischio di sfociare in una disordinata recessione e in una restrizione generalizzata della disponibilità di moneta per l'economia reale.
Tipici elementi che distinguono nella storia economica le fasi di contrazione della spesa pubblica come quella che stiamo vivendo sono:
- forte stimolo recessivo trasmesso all'economia reale attraverso la riduzione della spesa ovvero l'incremento della tassazione
- contrazione dei consumi a causa della riduzione del reddito disponibile,
- ridotta capitalizzazione delle banche a causa delle perdite su crediti indotte dalla recessione e timori che questo fenomeno a sua volta può generare,
- scarsa disponibilità di credito a favore dei nuovi investimenti,
- attese di riduzione dei valori d'azienda e dei cespiti immobiliari a seguito della riduzione della massa monetaria disponibile,
- scarsa appetibilità dei rendimenti netti per gli investitori finanziari
- conseguente fuoriuscita dei capitali dai confini nazionali / mancato ingresso di capitali dall'estero e ulteriore impulso al circolo vizioso descritto.
Banche e Credit Crunch:
Da settembre 2011 a settembre 2012 il credito totale alle imprese è decresciuto in Italia del 4,2%, esattamente di €38 mld. Se teniamo conto del fatto che molti impieghi delle banche sono di fatto bloccati su imprese che hanno chiesto la moratoria o che semplicemente hanno accettato di pagare spread decisamente più alti pur di non restituire subito il capitale erogato, possiamo dedurre che il totale del nuovo credito erogato nello stesso periodo sia stato veramente scarso!
E non è neppure finita: si stima che nel 2013 le prime 33 banche italiane dovranno raccogliere nuove risorse (tra capitale e depositi) per almeno €74MLD (circa il doppio della riduzione suddetta). Chi glieli fornirà ? Allo scorso settembre gli impieghi delle medesime eccedevano il volume dei depositi del 74%, dato che si riduce al 22% se si tiene conto della raccolta "indiretta" attraverso Bond e altri titoli collocati alla clientela.
Dunque in assenza di nuovi interventi "esterni" e di ulteriori importanti ricapitalizzazioni, c'è da attendersi che nel corso del prossimo anno le principali banche del Paese dovranno ridurre l'esposizione verso la clientela di circa il doppio del 2012!
Questo fattore rischia di non essere nemmeno il più importante dei problemi in cui incorrerà il sistema di rapporti banche-imprese nel 2013, dato che dall'inizio dell'anno scatterà la normativa denominata Basilea III, determinando nuovi e più stringenti requisiti di capitale per le banche e, indirettamente, minor credito a disposizione di privati, imprese e grandi progetti!
Perchè non il più importante? Perché lo spettro di una ulteriore drastica caduta dei valori immobiliari potrebbe riaccendere le tensioni sui requisiti patrimoniali del sistema bancario ben oltre i calcoli sopra riportati! Se ci aggiungiamo che nel 2013 il debito pubblico italiano tornerà di attualità a causa della grande mole di titoli in scadenza che dovrà essere rinnovata con il denaro della BCE e delle banche che questa finanzia, ecco che si coglie appieno la precarietà degli equilibri e la difficoltà che le cose possano migliorare quanto alla disponibilità di credito.
Una ripresa ma senza posti di lavoro:
Cosa succederà a partire dal 2014? Un barlume di ripresa potrebbe anche vedersi, quantomeno per il fatto che per molto tempo avremo sofferto una profonda recessione e qualcosa alla fine i governi dovranno fare per tornare a stimolare l'economia e promuovere gli investimenti.
Il punto però è che questo non potrà avvenire senza che l'Italia riallinei alternativamente i salari verso un deciso ribasso ovvero la produttività del lavoro verso un deciso rialzo, quantomeno per pareggiare la media europea!
Nel primo caso assisteremmo ad una "socializzazione" dei danni, nel secondo ad una netta disparità tra chi il lavoro ce l'ha (ancora) e chi lo ha invece già perso! Perchè?
È semplice, perché così come è successo per l'agricoltura nel secolo scorso, anche in molti altri settori industriali succederà che - con l'incremento della produttività per addetto - a determinati livelli di volumi di produzione non corrisponderà più la medesima necessità di risorse umane, bensì un numero molto inferiore! Con minor pressione sull'offerta di lavoro anche il salario medio ne risentirà necessariamente e il processo potrà essere compensato soltanto con la creazione di nuovi posti di lavoro in nuovi settori, necessariamente caratterizzati da forte innovazione ed elevato livello di servizio immateriale.
Scontri di piazza:
A causa dell'incessante stillicidio di riduzione dei posti di lavoro disponibili e del costante calo del reddito medio da essi generato, di manifestazioni di piazza rischiamo di vederne ancora molte nei prossimi mesi! A nulla potrebbe valere la concertazione che una probabile vittoria del Partito Democratico può favorire: non si dialoga con la "pancia vuota"!
Inoltre la disoccupazione presto non potrà più contare sui generosi ammortizzatori sociali sino ad oggi elargiti, esasperando le tensioni interne al nostro Paese e agli altri nella stessa condizione. In queste condizioni la stabilità politica sarà un lontano ricordo e l'ordine pubblico sarà meno certo per un lasso di tempo che è difficile stimare.
Tutti elementi che non potranno che ulteriormente allontanare gli investitori internazionali dal nostro territorio, e con essi il miraggio di nuovi posti di lavoro.
Un contesto a tinte fosche come quello descritto molto spesso nella Storia è sfociato in conflitti, rivoluzioni o semplice imbarbarimento.
Certo -come si suol dire- c'è il rischio che una ciliegia tiri l'altra...

CONVIVERE CON UNO SCENARIO COSÌ INCERTO
La RICETTA (in 12 punti) che il nostro staff suggerisce agli imprenditori italiani è la seguente:
- avere il coraggio di mettersi in discussione e di cambiare ciò che non "performa": troppo spesso le cose si trascinano in avanti per pigrizia, non perché una revisione critica dei risultati ci suggerisce di proseguire nella stessa direzione! Tutto ciò che produce inefficienza consuma gli sforzi di chi è valido e di chi lavora: il lavoro ci vuole (e tanto, dati i tempi oscuri) ma esso è inutile se non ben indirizzato;
- fare spazio alle certezze : il futuro lo si costruisce con l'entusiasmo (nonostante tutto) e la motivazione della gente! Le azioni che indicheremo di seguito (la miglior programmazione finanziaria, la riduzione degli investimenti a rischio, l'emersione e l'eliminazione di ogni possibile sacca di inefficienza, le alleanze internazionali ed intersettoriali per creare canali di comunicazione e reti interpersonali atte a supplire alla minor competitività del sistema industriale) sono tutte inutili se la squadra di "imprenditori" (non solo il titolare, ma tutti coloro che con la loro iniziativa devono riuscire a mandare avanti la baracca) non è motivata e correttamente incentivata;
- se non è possibile incrementare i prezzi di vendita o far scendere i costi operativi, almeno tentare di ridurre il capitale investito e i costi di produzione e in questo modo ottenere "ugualmente" un miglioramento dei margini aziendali e della redditività dell'equity;
- incrementare -per chi se lo può permettere finanziariamente- l'integrazione verticale dei fattori di produzione, o quantomeno la cooperazione e gli accordi di fornitura a monte e a valle, arrivando a controllare meglio la catena del valore, la redditività delle vendite finali, l'efficienza energetica (sarà un fattore scarso) e il consumo di materie prime;
- diversificare i canali e i mercati di sbocco: sebbene questo possa apparire quasi l'opposto di quanto sancito in tutti i sacri testi di management, l'inefficienza che la diversificazione suddetta potrebbe generare rischia di essere più che ricompensata dal mettersi al riparo dal crollo improvviso e imprevedibile di taluna clientela, soprattutto quella di vecchia data, sulla quale potremo contare sempre meno a causa della turbolenza generale;
- ridurre le spese "generali" e di conseguenza l'utilizzo di assets "fisici" come i grandi uffici, i mezzi di trasporto privati, i magazzini di materie prime e prodotti semilavorati, nonchè ridurre l'uso del denaro contante: in molti casi questi sono gli unici modi per far scendere il livello di capitale investito e generare maggiore efficienza;
- reperire per tempo le risorse finanziarie necessarie ai propri piani, ben sapendo che -nonostante tutte le crisi- i capitali sono sempre a disposizione di aziende di successo, con buona capacità di programmazione e con ottime prospettive (prospettive che spesso diventano appena appena decenti, alla luce dei numerosi imprevisti in cui si può incorrere in tempi di crisi): forse la valutazione di più di uno scenario di mercato può aiutare a delineare correttamente il rischio;
- se i piani aziendali non rivelano prospettive buone o ottime (anche a causa della grande imprevedibilità che deriva dalla turbolenza economica: ottime previsioni potrebbero trasformarsi in performances appena soddisfacenti, mediocri aspettative potrebbero trasformarsi in un vero e proprio disastro), essi con ogni probabilità andranno rivisti e corretti molto in anticipo, allo scopo di individuare nuove direzioni operative per la creazione di valore nel più breve tempo possibile: in un'economia recessiva è difficile che i risultati arrivino "nel lungo termine"!
- una volta disponibili piani aziendali dettagliati, alla luce delle performances che essi rivelano, rivedere criticamente i fattori di produzione, tanto per la ricerca della migliore efficienza (e produttività) quanto al fine di valutarne l'impatto ambientale: nonostante la crisi infatti il commercio internazionale non è in crisi (ed è quello che può salvare molti imprenditori italiani) e normative più stringenti circa l'eco-sostenibilità saranno all'ordine del giorno;
- i "fattori di produzione" sono tra l'altro sempre forieri di messaggi occulti e spesso importanti: attraverso una revisione critica di tutto ciò che é tradizione e "abitudine" si può generare valore, rinnovare la tecnologia, migliorare la propria posizione competitiva, svecchiare la produzione nonchè la catena logistica: è attraverso di essi che il "sangue" dell'impresa si rinnova!
- ragionare seriamente sul "ticket minimo" dimensionale da dover raggiungere affinchè l'impresa non risulti (solo per questo fatto) più a rischio e meno efficiente della sua concorrente diretta di dimensioni superiori: la dimensione spesso conta, permette più libertà di manovra e consente un miglior controllo della catena del valore;
- ipotizzare non soltanto alleanze, networking e collaborazioni operative, bensì veri e propri "merger" tra aziende (alla lettera: fusioni o confluenze di due o più aziende in un'unica entità economica), allo scopo di fare efficienza sui costi, sulla dimensione internazionale (oggi divenuta fondamentale) e sull'innovazione di prodotto e di processo: molto, molto meglio fondersi (e non comandare) che perdere soldi, e molto, molto meglio fondersi che chiudere! Nel nostro Paese "chiudono" ogni giorno più di 1600 imprese, gran parte delle quali poteva evitare di bruciare risorse stringendo alleanze con clienti, fornitori, concorrenti e succedanei;
Potremmo continuare a lungo: ben oltre il dodecalogo che Vi abbiamo proposto, ma l'idea che quelle 1600 chiusure di imprese al giorno (provate a moltiplicarle per i 366 giorni di quest'anno) si potevano evitare o ridurre mi assilla: bisogna riuscire a fermare il declino!
E la Finanza Aziendale, di questi tempi, tende a riprendersi il posto che le spetta da sempre: quello di cartina da tornasole della Strategia. Quella vera!
Stefano L. di Tommaso - La Compagnia Finanziaria