Liberalizzare per crescere

Sarebbe riduttivo e ingiustificato non apprezzare lo sforzo condotto dal Governo Monti sul lato  delle riforme e le liberalizzazioni vanno nella giusta direzione, anche se forse dovevano essere fatte con più incisione: liberalizzare vuol dire avviare un processo di eliminazione di barriere, per un'economia  basata più sul mercato e sul merito.

I politici spesso sostengono che queste riforme vanno in una  direzione "dolorosa" ma inevitabile,  ma forse sarebbe più opportuno vederle come un normale processo di crescita di una economia strutturalmente obsoleta. Tuttavia la strada da seguire dovrebbe essere il normale percorso in un paese modernamente organizzato e che sa adattarsi ai cambiamenti globali (e noi non lo siamo).  Purtroppo esistono delle difficoltà che risiedono in approcci di governance diversi:  Monti in sei mesi potrebbe fare quello che avrebbero dovuto fare i governi negli ultimi dieci anni.  Se ciò avverrà  sarà un bene per l'Italia, meno bene per una parte politica ormai afflitta da cialtroneria.

Probabilmente si poteva e si può fare di più in ambito di liberalizzazioni, spingerci più oltre. Qualcosa che somigli più ad una liberalizzazione orizzontale e verticale dei mercati, ma forse sarebbe stato troppo per un paese dove il corporativismo è dilagante e dove le resistenze al cambiamento sono viscerali. Meglio guardare all'Australia che alla cialtrona Grecia. 
Abbiamo interi settori pieni di barriere all'entrata, dalle Multiulities (escludendo il settore Gas) agli ordini professionali, Banche , Poste ecc. Lasciamo che irrompa la competizione. Le liberalizzazioni servono anche a generare occupazione ed è indubbio che ciò avvenga. In tutte le economie in cui è stato avviato un processo di liberalizzazione c'è stato un conseguente impatto positivo sull'economia e sull'occupazione (e non il contrario come dice qualche sindacalista stregone: vedasi anche Riforma del Lavoro). Persino nel Cile di Pinochet le liberalizzazioni del mercato hanno dato i loro frutti, decontestualizzando da tutto il resto (prima che si lamenti qualche insurrezionalista).

Non stiamo parlando di un sistema che dia la piena occupazione (molto difficile da realizzarsi, ma non impossibile, vedasi per es. Canada, Australia), la quale deve essere accompagnata da piena produttività. Se così non fosse questa bassa  produttività  o improduttività eroderebbe l'economia di un paese, causando perdite di competitività che ne minaccerebbero la stabilità a scapito dell'arricchimento di altri. È inutile continuare ad accusare  Cina ed India di concorrenza sleale (che per una parte esiste) e nascondersi dietro ad un dito. La produttività di questi due paesi (ed anche altri paesi Asiatici) è nettamente superiore a quella dei molte Economie Avanzate, ciò determina un flusso di prodotti che vanno dai paesi più competitivi verso quelli meno competitivi. È sempre stato così. Se qualcuno pensa che limitare l'entrata di prodotti Cinesi & C. sia la soluzione è fuori strada. Pertanto la crescita deve passare dal Cambiamento e se ciò non avverrà la soluzione è sotto gli occhi di tutti.

Nè deve  sorprenderci  il nostro corporativismo locale. L'approccio al cambiamento è difficile da far digerire, soprattutto per chi è seduto  sugli status acquisiti nel recenti decenni. Il cambiamento porta alla perdita degli status che la  politica economica degli ultimi 40 anni, a torto, ha garantito.  Il nostro rimane un sistema economico spurio, troppo vincolato alle logiche stataliste.  Anche le vecchie privatizzazioni introdotte negli anni '90 non sono state fatte in una logica pura di mercato competitivo e sono rimaste per certi versi legate alla mano pubblica, determinando delle lacune strutturali.
Allora perché non limitare anche il commercio, l'industria meccanica, le costruzioni ecc? Perché dobbiamo lasciare che alcuni settori abbiamo poche barriere all'ingresso e altri tante? Perché gli Architetti sostengono le norme liberalizzatrici e gli Avvocati no? Per diventare Architetto ci sono molte meno barriere all'entrata che per diventare Avvocato, Notaio o Commercialista.
Poche sere fa, a LA7, l'Onorevole Paniz ha affermato che non voterà la riforma sugli ordini. Ecco lui è un avvocato (sicuramente un buon avvocato visto che guadagna circa 1,5  milioni di euro annui) e come lui fra Senato e Parlamento ce ne sono a decine, anche facenti parte ad altri Ordini, che liberamente hanno scelto di far parte della note lobby e non contenti han voluto partecipare alle  famose "caste" parlamentari. In passato gli avvocati & c. erano parte di quella borghesia che tanto ha dato all'Italia e non solo. Oggi aimé ciò non avviene, ma ne parleremo in altra sede.

"La capacità delle imprese operanti in un settore di ottenere profitti  in modo continuativo senza attirare nuovi concorrenti nel mercato è indice della presenza di barriere all'entrata ".
I casi sono due: gli operatori di un mercato con alte barriere all'entrata ignorano il fatto che l'aumento della concorrenza porti dei benefici (incrementi di produttività e maggiore efficienza) oppure essi conoscono così bene le implicazioni della liberalizzazioni (la perdita di extra-profitti) da lottare affinché il sistema resti immutato.

L'esasperata  regolamentazione dei mercati non fa altro che generare corporativismi ed amplificare le distorsioni accentratrici. Il mercato italiano somiglia sicuramente di più a quello ungherese che non a quello australiano.   Se a ciò aggiungiamo che l'Italia è uno dei pochi paesi, o meglio il solo, nel quale la magistratura ha intenzione di rivoltare come un calzino un' Agenzia di Rating  (S&P), aleggiando sospetti dipietristi, chiediamoci il perché.

E' necessario un cambiamento che stravolga l'attuale situazione di stasi. Al motto "Cresci Italia" bisognerebbe affiancare quello del  "Turnaround Italia".  Avviare riforme innovative prima che sia la Distruzione Creatrice (vedi  J. Schumpeter) a far cambiare noi.

Andrew Tancredi - analista indipendente - 4VALUE